I Coltellinai del Molise

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Aldebaran
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I Coltellinai del Molise

Messaggio da Aldebaran »

Molise è stata ed è terra di artisti. "Prodotti eccellenti dà l'artigianato", scrive Francesco Jovine "sarti, falegnami, fabbri emigrati nelle grandi città dell'Italia e di America, hanno dato prova mirabile della loro valentia".

Nonostante l'era dello sviluppo tecnologico, le antiche arti molisane continuano oggi a vivere nelle piccole botteghe e a reggere la concorrenza dei grossi punti vendita.

Una delle espressioni tipiche dell'artigianato molisano è la lavorazione del ferro battuto, sopravvissuto, sia pure sporadicamente, nelle due provincie molisane (Campobasso e Isernia). Oggi è ancora possibile, infatti, trovare botteghe di mastri ferrai ad Agnone, e più in generale nell'Alto Molise, e ancora a Campobasso e Frosolone. Qualcos'altro sopravvive a Larino, Termoli, Guglionesi, Ururi, S.Croce di Magliano, Montenero di Bisaccia e Casacalenda. La lavorazione del ferro battuto richiede una grande abilità perché consiste nel dosare attentamente la battuta della mazza e del martello sull'incudine e a trasformare un pezzo di ferro in un "merletto" che riproduce oggetti più disparati quali rose, portachiavi, portavasi, animali e quant'altro nasce dalla fantasia dell'artigiano. Si spera che questa antica lavorazione non venga completamente sostituita dagli attuali metodi di produzione che richiedono oggi la fiamma ossidrica e le lamine di ferro.

Nel cuore del paese ha sempre pulsato un'arte antica quanto l'acciaio il cui battito era cadenzato dal caratteristico suono del martello sull'incudine. Oggi questo battito non risuona più nei vicoli, ma il ricordo della forgiatura rivive ancora oggi in quella che è diventata una delle manifestazioni di maggior pregio nel panorama degli eventi estivi che si possono ammirare a Frosolone. Assistere a questa lavorazione riporta lo spettatore all'epoca preindustriale e ad un contesto, fatto di strumenti azionati a mano, di forza delle braccia (foto 1), di segreti nei modi della tempra e nelle tecniche di battuta del martello sull'acciaio rovente.

Se si volesse trovare un parallelismo in natura che potesse descrivere l'evoluzione dei lavori dei nostri maestri artigiani bisognerebbe richiamarsi alla metamorfosi del bruco (barra di acciaio) che passando per la fase della crisalide (tempera) si trasforma in bellissima farfalla (forbici e coltelli). È, forse, l'unico momento per conoscere o riscoprire l'antica e difficile arte del forgiar lame, che conduce lo spettatore vicino alle tecniche per realizzare un oggetto di uso domestico come la forbice, o utile nel lavoro come un coltello o necessario in battaglia come una spada. Sono secoli che questo antico mestiere passando di mano in mano, di generazione in generazione, fra le famiglie dei Frosolonesi ha assicurato la fonte della loro sopravvivenza.

Ogni bottega e quindi la famiglia ad essa collegata, aveva costruito la propria fama e fonte di sopravvivenza nelle capacità dimostrate nel realizzare con maggiore maestria un determinato prodotto avendo cura di celare con riservatezza ogni più ricercato segreto delle lavorazioni. Oggi, nonostante il progresso e l'innovazione tecnologica, i nostri artigiani sono ancora abilissimi nel costruire forbici e coltelli con pochi ma essenziali strumenti di lavoro.

A quanti avessero la fortuna di soffermarsi a dialogare con qualcuno di quei pochi 'maestri' ormai anziani, verrebbe ricordato il contesto in cui si lavorava nelle piccole botteghe ricavate nei locali disposti al pianterreno di ogni abitazione e che l'unità di misura dei prodotti ottenuti fosse la 'dozzina' (duzzana) e come tale unità di misura, a fine giornata, qualificasse il più abile degli artigiani. La bottega (la p'teca) (foto 2 e 3) era caratterizzata da minuti e grandi strumenti realizzati a volte dallo stesso artigiano ed era basata soprattutto sul lavoro del capofamiglia (ru mastr' curt'llar') e degli apprendisti (l'arzon') legati per parentela o amicizia stretta al titolare dell'attività. Ognuno aveva un ruolo ben preciso, anche le donne erano delegate alla realizzazione dei ganci (catenielle) o a pulire (stuià) le varie parti che componevano le forbici, i coltelli o le falci.

Il cuore dell'intera impresa era 'ru curt'llar' che con la forgia, azionata da un mantice, portava a temperatura le barre di acciaio al carbonio rendendole idonee ad essere battute sull'incudine al fine di ottenere lame (sferr') e molle. Il lavoro più delicato era rappresentato dalla fase di tempra che richiedeva il massimo della maestria perché era il momento di passaggio dallo stato di acciaio a quello di acciaio temperato (sequenze foto 4) ed era in questa fase che le capacità del maestro venivano fuori, infatti, se non si eseguivano alla perfezione i vari passaggi di portata a temperatura (la calla) dell'acciaio e di tempra nella fase di raffreddamento o era impossibile lavorare il nobile metallo o l'acciaio ottenuto era fragilissimo come il vetro e quindi soggetto a spezzarsi.

Le fasi di lavoro (sequenze foto 5) proseguivano e dopo aver ottenuto una lama di acciaio, era necessario asportare le parti superflue con l'aiuto prima di una lima e poi di una mola di pietra che, azionata a pedale, consentiva di realizzare il 'filo' del taglio.

La lama così ottenuta veniva ripassata su di una cinghia di cuoio avvolta intorno ad una ruota di legno azionata da un sistema a pedale, lubrificata con un prodotto realizzato artigianalmente e chiamato 'sembriglie', composta di olio, colla di pesce e polvere di ferro. Una volta ottenuta la lama, se l'oggetto in esecuzione era un coltello, si proseguiva con la realizzazione del manico costituito da placchette (paccarelle), fatte di corno (di bue o di bufalo) o di legno. Il corno, prima tagliato manualmente tenendolo fermo per mezzo di una morsa fissata al banco di lavoro, veniva poi scaldato e quindi sagomato e lavorato a forma.

La lucidatura del manico veniva eseguita con una speciale pasta, composta di polvere di pietra pomice impastata con dell'olio lubrificante. Infine, la lama del coltello realizzato, veniva passata su una ruota fatta di tessuto (boff') per la lucidatura e l'eliminazione degli ultimi residui. La lavorazione di un solo coltello richiedeva oltre tre ore.
Per quanta abilità e maestria si richiedesse nella realizzazione dei coltelli, la realizzazione di una forbice richiedeva ulteriori capacità e cognizioni. Questo spiega perchè nel XIX sec. i coltellinai a Frosolone erano circa duecento mentre i forbiciai erano meno di una decina.
La realizzazione delle forbici, per la prima parte di lavorazione, viene eseguita operando con lo stesso procedimento della lavorazione della lama del coltello. La particolare mola usata per fare le forbici è chiamata imbrunitore ('mburnetore).

Ma la lavorazione più caratteristica era rappresentata dalla esecuzione di un foro, praticato su un lato della minuscola barra di acciaio grezzo, eseguito prima con uno speciale punzone applicato sul piano dell'incudine e lavorato poi sulla punta tonda dell'incudine avendo cura di tenere il ferro sempre incandescente.

E, per avere a mente il colore del ferro rovente e rievocare i suoni di bottega, che Vi invitiamo a visitare questa manifestazione fra i vicoli del centro storico di Frosolone.

Sito web dell'evento: http://www.frosolone.net/la_forgiatura.htm

“I coltellinai di Frosolone, capaci di perfezionare continuamente le produzioni, fanno da sempre dell’artigianato delle lame una vera e propria arte. Ed oggi come nei trascorsi secoli di tradizione, l’inventiva, la creatività, la non serialità sono gli elementi di forza che fanno primeggiare la qualità e l’estetica degli arnesi da taglio di Frosolone” - Francesco Jovine

Frosolone quale centro di eccellenza per la produzione dei ferri taglienti è noto già al tempo del Regno di Napoli. Il centro si sviluppa, quasi a diventare un “distretto industriale”, quando Carlo di Borbone, Re delle Due Sicilie, intese dare un assetto industriale al suo regno favorendo la riorganizzazione di fonderie e armamenti.
La fama del paese andò crescendo, quando di lì a poco, nel 1828, i fratelli Fazioli ricevettero la medaglia d’argento per i loro prodotti all’Esposizione artigiana di Napoli.
Tuttavia l’arte della forgiatura a Frosolone ha natali ben più remoti. In effetti, non c’è una data certa circa l’origine della lavorazione dei metalli a Frosolone. Tuttavia, Michele Colozza autore del volume edito nel 1933 “Frosolone dall’origine all’eversione dal feudalesimo” fa risalire questa antica tradizione al VI secolo, quando i Longobardi, popolo notoriamente militarizzato, scese nell’Italia Meridionale.
Successivamente la vocazione agricola e, soprattutto, pastorizia del paese ha favorito la lavorazione di metalli per la realizzazione di attrezzi agricoli e di utensili.
La specializzazione dell’artigianato locale nella lavorazione dei ferri taglienti ha radici più certe nell’epoca medioevale. In particolare, esistono testimonianze scritte circa la migrazione di artigiani veneziani verso il Sud Italia, i quali diffusero l’arte della forgiatura dell’acciaio nel Molise.

Attualmente la lavorazione dei coltelli ha assunto carattere industriale pur rimanendo una forte connotazione familiare nella gestione delle attività.

LA MOSTRA MERCATO DEI COLTELLI E DELLE FORBICI E IL MUSEO DEI FERRI TAGLIENTI
Dal 1996, durante il mese di agosto, a Frosolone si svolge la Mostra Mercato dei Coltelli e delle Forbici lungo i vicoli del centro storico, negli stessi locali dove un tempo erano ubicate le botteghe artigiane. Circa una cinquantina gli artigiani che annualmente espongono i propri prodotti alla mostra, in particolare va sottolineata la presenza di quelli provenienti da Maniaco (Friuli), Premana (Lombardia) Scarperia (Toscana) e Pattada (Sardegna), con i quali il comune di Frosolone ha redatto un protocollo d’intesa chiamato “Gemellaggio delle lame”.

Sempre nello stesso periodo nel centro storico si svolge anche la festa della Forgiatura, cioè la tecnica manuale attraverso la quale si dà forma agli oggetti e alle parti componenti che dovranno essere assemblate tra di loro.

Di recente, è stato riaperto il Museo dei Ferri Taglienti nei locali di Via Selva grazie al finanziamento del Ministero dell'Università e della Ricerca Universitaria.
Nel Museo sono conservati centinaia di oggetti di valore storico recuperati tra gli appassionati e tra gli eredi dei migliori lavoratori delle forbici e dei coltelli di Frosolone del secolo scorso.

La lavorazione dei metalli a Frosolone


FROSOLONE (ISERNIA) - L’origine della lavorazione dei metalli a Frosolone (Isernia) non ha una data certa. I più, compreso Michele Colozza, autore nel 1933 del volume “Frosolone dalle origini all’eversione dal feudalesimo”, la fanno risalire al VI secolo, quando i Longobardi, popolo guerriero e fortemente militarizzato (tra l’altro con ottimi fabbri), calano nell’Italia meridionale diffondendo anche l’arte (e l’esigenza) di realizzare armi. Qui, intorno al 570, fondano il ducato di Benevento, che impone la sua influenza a tutto il Sud Italia fino al 774, cioè per oltre due secoli.
I guerrieri longobardi, vestiti di corazze ed elmi sempre più raffinati, hanno un armamento particolarmente elaborato. La spada (“spatha”) in ferro a due tagli, che portano legata al fianco con un cinturone, in un fodero di legno o di cuoio, ha una lama larga oltre 5 centimetri e lunga fino ad un metro. L’impugnatura è ben lavorata: in cuoio, legno o corno. Hanno in dotazione anche una sciabola (“scramasax”) lunga tra i 30 ed i 50 centimetri ad un solo taglio incurvata in punta, usata per il combattimento a cavallo. Il fodero contiene un coltellino. Oltre allo scudo, utilizzano una lancia di legno con cuspidi e puntali metallici. Le leggi emanate dal loro Re Astolfo (750 circa) confermano tale equipaggiamento militare. Sappiamo ad esempio che lo stemma dei Visconti (il biscione, utilizzato oggi anche da Mediaset) deriva da un’insegna militare d’origine longobarda.
Tale vocazione guerresca dei longobardi, soliti assoggettare e spesso rendere in schiavitù il popolo sopraffatto, potrebbe aver trovato terreno fertile in un paese come Frosolone, dove probabilmente esistevano bravi artigiani della forgiatura già da secoli.
Non è difficile ipotizzare che l’ambiente naturale in cui è inserito il paese molisano, cioè alta montagna e vallate (con ricca flora e fauna), garantendo una pastorizia millenaria (di cui resta una visibile eredità), abbia favorito la lavorazione di metalli per realizzare sia attrezzi agricoli sia beni d’uso quotidiano: strumenti indispensabili per andare a caccia ma anche per sezionare animali allevati, nonché per zappare, potare o raccogliere frutti. Tale attività, con il tempo, s’è probabilmente estesa alla produzione di armi da difesa, fino all’ultima specializzazione nell’artigianato artistico e nell’utensileria.
L’origine molto remota del paese potrebbe quindi aver favorito l’evoluzione dell’artigianato del ferro. Il paese ha infatti sicure origini almeno sannite, corrispondendo all’antica “Fulsulae” (probabilmente denominata così da “fulgere” latino che equivale a “risplendere”) citata da Tito Livio, di cui restano tracce – soprattutto tratti di mura ciclopiche - nella zona archeologica delle “Civitelle”, a nord dell’attuale centro abitato. Di certo il borgo viene annientato dai Romani quando distruggono le città sannite vendicando la sconfitta delle “Forche Caudine”.
C’è da aggiungere che l’attuale nucleo storico di Frosolone, il cosiddetto “Quarto Sant’Angelo”, ha origine proprio nel periodo longobardo come primordiale struttura fortificata, ampliata durante la dominazione normanna (quando Frosolone passa dalla Contea di Isernia a quella del Molise).
Una prova in più della tesi di Colozza e di altri ha carattere religioso. E’ la chiesa di San Michele Arcangelo a Frosolone, ricostruita nel 1840 su quella più antica annessa ad un convento, con un bellissimo altare ligneo del 1694. E’ inserita proprio a “Quarto Sant’Angelo”, epicentro dell’artigianato locale. E San Michele, guarda caso, è il santo protettore dei Longobardi, rappresentando bene il loro spirito guerriero.
L’epoca medievale
La specializzazione dell’artigianato locale nella lavorazione dei ferri taglienti ha radici più certe nell’epoca medievale. Alcuni documenti attestano la migrazione di artigiani veneziani verso il Sud Italia, diffondendo l’arte della forgiatura dell’acciaio soprattutto in Molise. Nel trecento a Frosolone si lavorano i metalli per produrre le armi dei Monforte, la dinastia dominante nella regione. Qualcuno collega l’artigianato di Frosolone all’analoga arte della forgiatura che si sviluppa a Campobasso nello stesso periodo. Anche qui alcuni artigiani si specializzano nella lavorazione di armi, soprattutto spade, tanto che lo scrittore Walter Scott cita la produzione molisana.
Nel 1750, in un periodo di grande fioritura della lavorazione dell’acciaio, un editto di Carlo III di Borbone proibisce la lavorazione delle armi. A Campobasso la lavorazione si converte verso gli arnesi da lavoro. Frosolone, invece, mantiene la vocazione originaria. Tuttavia la produzione, pur orientata inizialmente alla fornitura di armi per gli eserciti, piano piano perde l’impronta prettamente guerresca diventando, tra settecento e ottocento, fabbricazione di oggetti d’uso domestico.
Tale evoluzione è da collegare soprattutto ai governanti napoletani, i quali promuovono piccoli distretti industriali nel proprio territorio. E’ il caso di Carlo di Borbone, Re delle Due Sicilie, il quale favorendo un assetto industriale per il suo regno, incoraggia la riorganizzazione di fonderie ed armamenti decentrandoli in grandi opifici. Frosolone non perde il primato. Anzi, sa riconvertire la produzione. Si può immaginare il borgo operoso, ben popolato di artigiani, botteghe, fornaci fumanti, incudini, magli, mole, bulini, nonché di spade affilate e pugnali acuminati.
Dell’attività degli ultimi due secoli restano numerosi documenti. Sappiamo, ad esempio, che nel 1828 i fratelli Giustino e Luigi Fazioli – cognome ancora molto presente a Frosolone - vengono premiati con la medaglia d’argento per i loro prodotti all’Esposizione artigiana di Napoli. Un riconoscimento che garantisce notorietà nazionale all’intera industria frosolonese, imponendo ulteriori trasformazioni qualitative per l’intera comunità artigiana e un notevole incremento delle produzioni. Un coltello frosolonese, detto il “Giordano” (le produzioni spesso prendono la denominazione degli stessi artigiani) furoreggia in Germania a tal punto che gli industriali teutonici, anticipando gli odierni orientali, ne producono copie a basso costo (l’originale si vende a 12 lire mentre una dozzina di tedeschi costa appena 18 lire).
A fine ottocento viene impiantato a Frosolone uno stabilimento, uno dei più moderni della regione, con tre funzioni produttive. In paese lavorano nel settore diverse centinaia di addetti, almeno duecento specializzati in coltelli, cinque o sei nelle forbici. Il paese oltrepassa anche i 7 mila abitanti (rispetto ai 5 mila del secondo dopoguerra ed agli attuali 3.500).
Sono anni in cui Frosolone firma i celebri coltelli dei “guappi” camorristi napoletani (a riprova c’è l’importante collezione di Abele De Blasio, oggi divisa tra il museo di antropologia criminale di Torino ed il museo delle arti e tradizioni popolari di Roma). Tre i principali modelli utilizzati: la “molletta” (a scatto con largo manico e lama molto piatta), realizzato soprattutto dalla famiglia Prioletta di Frosolone, la “sfarziglia” e lo “zumpafuosso” (coltello a molla lungo circa 23 centimetri, aperto circa 45 centimetri, molto affusolato), tipico delle produzioni di Frosolone e di Avigliano. Per comprendere appieno la qualità delle produzioni, va sottolineato come la ricchezza di forme “italiane” non trova riscontro in alcun altro paese europeo, sia per il coltello con caratteristiche offensive sia per quello d’uso quotidiano.
L’associazionismo
Nel novecento Frosolone registra diversi tentativi di associazionismo lavorativo. L’Unione delle fabbriche dei lavori d’acciaio, ad esempio, è attiva dal 1900 al 1908. Nel 1905 prende vita la Società operaia. Il parroco Giuseppe Maria Zampini, nel suo intervento all’atto di fondazione, individua la consociazione come rimedio improrogabile per gli artigiani frosolonesi lacerati dalle lunghe ore di lavoro in condizioni miserevoli, pagati male rispetto al lavoro consegnato.
Anche la Società popolare frosolonese “L’indipendenza” è di questi anni.
Particolarmente importante è l’esperienza della Cooperativa dell’acciaio lavorato, attiva dal luglio 1907 a fine 1908 con ben 31 azionisti. Purtroppo la legge Giolitti dell’8 novembre 1908 ne causa lo scioglimento. La norma prevede infatti la riduzione della lunghezza della lama da 10 a 4 centimetri per i coltelli appuntiti, elevata a 6 centimetri a condizione che il manico non fosse più lungo di 8 centimetri né più spesso di 9 millimetri.
Molti consociati sono costretti ad emigrare in America. La famiglia Miranda, originaria di Frosolone, crea negli Stati Uniti la “Imperial Knife”, una delle principali multinazionali del settore. E non mancano risvolti da “indotto”. Il limitrofo paese di Sant’Elena Sannita, a tre chilometri da Frosolone, dai 2 mila residenti di inizio secolo, è oggi completamente svuotato da un’emigrazione costituita per lo più da arrotini (grazie alla produzione frosolonese); per una naturale crescita professionale determinata anche dalle richieste dei barbieri, oggi gli eredi degli ex arrotini sono diventati profumieri di successo con oltre duecento negozi solo nella Capitale ed altrettanti nell’Italia centro-meridionale.
Tornando agli inizi del novecento, si possono registrate altri tentativi frosolonesi di dar vita a cooperative. Ma gli eventi bellici e le conseguenti crisi economiche minano le condizioni di vita della popolazione, assestando un duro colpo alle già flebili possibilità di sviluppo dell’artigianato locale.
Tra le altre cause di decadenza, va rilevato il ritardo, rispetto alla “concorrenza” europea, nel passaggio all’industrializzazione, o almeno ad una produzione semi-industriale.
Felice Puniello, classe 1900, uno degli artigiani che hanno contribuito a scrivere la storia dell’arte frosolonese, propulsore della cooperazione tra i lavoratori, ha lasciato pagine molto significative in proposito. Scrive: “Nell’originale del coltello molisano, per la copertura del manico viene usato corno di bue bianco, che, dopo le diverse fasi di lavorazione, come la segatura, il riscaldamento, la fiamma, la schiacciatura e il raffreddamento, viene appiattito e ripulito dalle incrostazioni e ridotto allo spessore giusto. Con una seconda fase si opera una migliore pulitura e con una pennellata di acido nitrico, da bianco si fa diventare giallo. Dopo un’ora, tenendo conto dell’ambiente e della stagione, si passa all’operazione della macchiettatura, che consiste in una pomata di polvere di calce vergine e un pizzico di minio diluito con lisciva ricavata da bollitura di cenere vegetale. Con tale composto si macchia la parte superiore del manico per farlo risultare macchiettato di nero. Ecco, questa è la differenza tra artigianato e industria”.
La Lega coltellinai vive dal 1921 al 1923. Il parroco Giuseppe Maria Trillo lamenta nel 1922 l’enorme produzione non venduta e l’assenza di un mercato che non fosse quello dei grossisti santelenesi. In questi anni, tra l’altro, si registra la crescita della concorrenza tedesca, che offre analoghi modelli a minor costo.
Nel 1927 il coltellinaio frosolonese Vincenzo Manupella, nato il 26 gennaio 1904, già iscritto al Partito socialista unitario, incide sul manico di quattro coltelli di sua fabbricazione la scritta “W Lenin”, subendo la denuncia e il processo per propaganda comunista. La sentenza di condanna è la numero 11 del 10 maggio 1927, presidente il giudice Freri, relatore Lanari. L’episodio conferma la presenza ed il fervore di una classe operaia nel centro molisano, legata alla lavorazione delle lame.
La Società cooperativa riunita è attiva dal 1944 al 1988, anno in cui viene rilevata dalla ditta Fraraccio. E’ l’ultimo importante tentativo di consociativismo, legato ai nomi delle più importanti fabbriche locali: De Luca, Fraraccio, Permanente e Tasillo.
Oggi ogni azienda impone un proprio marchio: negli ultimi anni si è tentato più volte – ma invano - di inserire, sotto forma di consorzio, un unico logo che attestasse la provenienza locale di tutta la produzione. Una sorta di garanzia per il mercato che conosce e apprezza da sempre Frosolone ed i suoi validi artigiani.
Ricordiamo, in proposito, quanto scrive Francesco Jovine nel suo “Viaggio in Molise”: “I coltellinai di Frosolone, capaci di perfezionare continuamente le produzioni, fanno da sempre dell’artigianato delle lame una vera e propria arte. Ed oggi come nei trascorsi secoli di tradizione, l’inventiva, la creatività, la non serialità sono gli elementi di forza che fanno primeggiare la qualità e l’estetica degli arnesi da taglio di Frosolone”. Benedetto Croce racconta che a Londra i migliori rasoi sono “quelli importati dal Molise, la cui fama oltrepassa i confini del Regno di Napoli, facendo concorrenza a quelli di Toledo e Shieffield”.
Per secoli, insomma, questo antico mestiere passa di mano in mano, di generazione in generazione. Tutta la famiglia dell’artigiano partecipa al rito: l’uomo riscalda con la forgia, azionata da un mantice, le strisce di acciaio provenienti da Trieste e le batte su un incudine finché non prendono la forma di lame e molle. I figli imparano, la moglie prepara le “catenelle”, i piccoli gancetti da attaccare al coltellino. L’acciaio viene rifinito con una lima e passato su una mola di pietra, azionata a pedale. L’artigiano ripassa quindi la lamina su una mola foderata con una striscia di cuoio (preparata da lui stesso), in precedenza unta con una soluzione, chiamata “sembriglie”, composta di olio e smeriglia (polvere di ferro). Preparata la lamina, procede alla lavorazione del manico (“paccarella”), fatto di corno di bufalo. Questo viene scaldato sulla mola e stretto in un’apposita morsa, quindi tagliato e sagomato. Per lucidare il manico prepara una speciale pomata, composta di pietra pomice finemente tritata e setacciata, impastata con dell'olio. La lavorazione di un solo coltello richiede circa tre ore.
Per fare un paio di forbici, invece, gli addetti bucano da un lato la striscia d’acciaio e usano lo stesso procedimento della lavorazione della lama del coltello. La mola usata per fare le forbici è chiamata “mburnetore”. Il vecchio forgiatore lavorava dalle dodici alle sedici ore al giorno, esclusa la domenica, giorno destinato alla cantina. Il sabato, i negozianti (non vi erano grossisti) caricavano su un asino i coltelli prodotti durante la settimana per rivenderli. Visivamente i fabbri si distinguevano dai contadini (con i quali generalmente non andavano d'accordo) per il diverso modo di vestire: i contadini portavano infatti le “scarrette”, una specie di baschi, e le “strummure”, giacche cortissime.
Tra gli altri nomi di questa vera e propria epopea ricordiamo Filippo Piscitelli, coltellinaio al lavoro quasi centenario all’inizio degli anni novanta in una bottega-simbolo del lavoro artigiano e Vincenzo Piscitelli, anche lui impegnato in un vero e proprio piccolo museo inserito nel centro storico del paese.
Dall’artigianato all’industria
Da almeno due decenni, la lavorazione dei coltelli ha assunto una forte connotazione industriale, pur dominando le gestioni familiari delle aziende.
Le decine di piccole e “romantiche” botteghe artigiane, con esperienze secolari alle spalle, sono state sostituire da piccole aziende che hanno comunque saputo affrontare le nuove sfide imposte da un mercato sempre più globalizzato. Con l’automazione e le nuove tecnologie, le produzioni basate unicamente sulla lavorazione a mano sono andate via via scomparendo, sostituite da piccole ma intraprendenti fabbriche nate negli ultimi decenni. Nonostante le difficoltà, registrano comunque fatturati crescenti, garantiscono posti di lavoro (Frosolone è l’unico centro con più di 3 mila abitanti in un raggio di quindici chilometri), penetrano nel mercato internazionale. Producono principalmente forbici e coltelli a serramanico di svariate tipologie, ma anche bisturi, pugnali, sciabole e arnesi da taglio di qualsiasi foggia. Molte aziende hanno diversificato l’offerta con l’introduzione di casalinghi.
Tra le società attualmente attive ricordiamo quella dei fratelli De Luca (Ar.for.), con sede in via Dante 5 (tel. 0874-890462), con articoli di elevata qualità, presenti anche nella grande distribuzione. Quindi la Pcf della famiglia Fraraccio in via Sant’Egidio (tel. 0874-899919-890822), specializzata nella fabbricazione di forbici e di coltelleria tascabile e professionale, collegata alla Coltellerie Michele Fraraccio che, con la sua capacità distributiva, riesce a far apprezzare i prodotti sul mercato internazionale. Ed ancora la Francesco Fraraccio di via Selva 1 (tel. 0874-899910). Quindi le storiche coltellerie Paolucci (attive dal 1791) di via Teste 3 (tel. 0874-890120), uno dei marchi più importanti a livello internazionale con l’efficace slogan “Una storia inossidabile nel tempo”. Da segnalare, inoltre, Rocco Petrunti, con laboratorio in via Fonte Murata 3 (tel. 0874-890585) e showroom nella centralissima via Colozza 11 (tel. 0874-890585), il quale si dedica all’attività di coltellinaio continuando una tradizione familiare che risale a più di quattro generazioni con la produzione tipica di Frosolone: sfilati, mozzette, zuavi, temperini e coltelli da innesto. A tale produzione tradizionale si affianca quella di coltelli Custom da collezione e da caccia. Ed ancora la fabbrica di forbici Permanente, in via Pagano 35 (tel. 0874-890549), dove operano i due cugini Giuseppe, figli di Nicolino e di Giovanni Permanente, fratelli che hanno trascorso un’intera esistenza a realizzare forbici e coltelli di pregio. Infine le coltellerie con il marchio Lupa nella frazione di San Pietro in Valle in via Salvador Allende 3 (tel. 0874-890873).
Di recente ristruttuazione è il Museo dei ferri taglienti dove sono conservati centinaia di oggetti di valore storico recuperati tra gli eredi dei migliori lavoratori delle lame di Frosolone.
Ad agosto, dal 1996, nel paese molisano si svolge la Mostra nazionale di forbici e coltelli, ubicata nelle strade del centro storico, per la quale vengono utilizzati i locali che un tempo ospitavano le botteghe artigiane. Durante la manifestazione vengono ospitati una cinquantina di artigiani dei “ferri taglienti” provenienti dalle altre zone italiane di produzione: Maniago, in Friuli, la località più fertile ma anche priva di connotazioni tradizionali; Premana, in provincia di Como, specializzata soprattutto nelle forbici; Scarperia, vicino Firenze, con caratteristiche molto simili a quelle frosolonesi; Pattada, in Sardegna, che non vanta però una tradizione molto antica ma risalente all’ottocento.
Inoltre, sempre ad agosto, ha luogo la “Festa della forgiatura”, dove gli ultimi artigiani svelano ai più curiosi le tecniche dell’antica lavorazione artigianale.
Gli amanti del genere approfittano di tali occasioni per ammirare e acquistare non solo l’ampia gamma di coltelli e forbici “impiegabili per una cinquantina di scopi diversi”, come assicurano gli artigiani, ma imbattersi anche nelle altre attrattive del piccolo centro.
L’augurio, ovviamente, è che questo secolare patrimonio di conoscenze, di saperi e di competenze non venga disperso nel nome della “solita” globalizzazione, capace di annullare - in poco tempo - antiche identità e scrigni culturali a vantaggio della competizione nei mercati. Indubbiamente l’adeguamento è necessario per far sopravvivere ilcomparto ma occorre che l’antica arte della forgiatura possa continuare ad avere sempre validi eredi.

FROSOLONE, accogliente e vivace centro dell’entroterra molisano situato a circa 900 mt di altitudine, è un paese di coltelli. Infatti l’attività della lavorazione dell’acciaio, insieme a quella agro-pastorale, rappresenta da secoli la principale attività economica del paese. Fino alla fine degli anni 60 (1960) ogni vicoletto del paese contava più di una bottega di forbici o coltelli e già dalle prime luci dell’alba il tintinnio dei martelli sulle incudini era il suono caratteristico. Poi queste botteghe furono soppiantate da moderne industrie che negli ultimi anni si sono trasformate soprattutto in aziende commerciali. Quest’attività nei secoli scorsi era diffusa un po’ in tutto il Molise: a Campobasso soprattutto ma anche a Ripalimosano, Limosano, Agnone, Longano. Oggi Frosolone rimane l’unico centro non solo della regione ma di tutto il meridione, dove ancora vengono prodotti coltelli e forbici. Per quanto riguarda l’origine di questa attività è da ricordare che i SANNITI, gli antichi abitanti di queste terre, erano abili nella lavorazione del ferro e grazie alle loro lance potenti resistettero per quasi un mezzo secolo alla dominazione romana . Si vuole che questa attività abbia avuto inizio tra il XIV e il XV sec. sotto la casata Monforte-Gambatesa. I Monforte giunsero a Campobasso nel 1312 provenienti dalla Francia ed uno di essi sposò Sibilla Gambatese. Questi signorotti, dediti all’arte della guerra, probabilmente obbligarono i loro sudditi ad impratichirsi nella lavorazione delle armi allora usate e degli accessori metallici della milizia equestre, dato che in quel periodo Nicola Monforte richiese armaioli dalla sua terra. Successivamente, nel XVI sec., sotto la dominazione dei Gonzaga, che mandarono armaioli da Milano, e principalmente di Don Ferrante, duca di Guastalla e conte di Campobasso, munifico mecenate delle arti e delle industrie, queste lavorazioni ebbero un notevole sviluppo. Durante questo periodo i pugnali, le spade e gli altri arnesi che servivano all’armamento delle milizie, avevano acquistato notevole rinomanza. La lavorazione infatti era accuratissima e ad essa si aggiungeva l’ottima tempera e affilatura. Nel 1750 un editto di Carlo III di Borbone vietò la fabbricazione delle armi e costrinse gli artigiani molisani dell’acciaio ad una improvvisa riconversione produttiva che li orientò alla fabbricazione di forbici, cesoie, rasoi, temperini, coltelli e arnesi da taglio per le arti e l’agricoltura. A Campobasso queste lavorazioni furono soppiantate quasi del tutto agli inizi dell’ottocento dall’introduzione (dovuta a Carlo Rinaldi) delle tecniche di lavorazione dell’acciaio traforato. L’attività del traforo divenne la specializzazione degli artigiani campobassesi e il nome di Campobasso divenne ben presto famoso in tutta Europa grazie alla partecipazione dei suoi artigiani alle principali esposizioni sia nazionali che internazionali dove ricevettero vari riconoscimenti. A Frosolone invece, dove secondo notizie dedotte dal catasto del 1780 si contavano ben 20 ammolatori, gli artigiani si specializzarono nella produzione di forbici e coltelli da lavoro e da tasca che spesso venivano marcati col nome di Campobasso sfruttando così la notorietà che Campobasso aveva acquisito sui mercati internazionali. Anche a Frosolone non mancarono artigiani che si distinsero per la loro maestria nella lavorazione dei coltelli. È da ricordare Giustino e Luigi Fazioli che meritarono una medaglia d’argento all’esposizione di Napoli del 1828. Nel corso degli anni, dalla fine dell’Ottocento al 1988, vi furono vari tentativi di costituzione di società cooperative che avevano come scopo principale quello di migliorare le condizioni economiche e sociali degli artigiani partecipanti. Sorsero così: L’Unione delle fabbriche dei lavori d’acciaio, dal 1900 al 1907; la Società operaia, costituita nel 1905; la Società Popolare Frosolonese <>; la Società Cooperativa dell’acciaio lavorato, dal 1907 al 1908; la Lega coltellinai, dal 1921 al 1923; la Società Cooperativa Coltellerie Riunite, dal 1944 al 1988. Ad eccezione di quest’ultima, tutte le altre ebbero vita breve. Alle difficoltà proprie dell’associazionismo, infatti, si aggiunsero due periodi di crisi profonde che colpirono il settore della coltelleria tra il 1908 e il 1911 e fra il 1927 e il 1933. Queste crisi furono caratterizzate da una elevate emigrazione di coltellinai e forbiciai verso altre nazioni, in particolare verso gli Stati Uniti d’America: soltanto durante il primo periodo di crisi oltre trenta artigiani lasciarono il paese. Tra coloro che abbandonarono Frosolone vi fu Michele Miranda che fondò negli Stati Uniti, nella città di Providence, la ditta <> dove lavorarono molti frosolonesi emigrati e che poi costruì quattro stabilimenti in altrettante nazioni, uno anche in Germania. Malgrado le crisi e la forte emigrazione la lavorazione dell’acciaio continuava a rimanere l’attività prevalente nel paese e a tal proposito basti ricordare che nel 1920 si contavano ancora ottantasei artigiani con officina propria: di questi settantatre erano coltellinai e tredici forbiciai. Nonostante ciò il centro di Frosolone fino a qualche tempo fa non era ancora abbastanza conosciuto per la coltelleria dalla vasta clientela perché i prodotti di Frosolone venivano spesso marchiati col nome di Campobasso al punto che il marchio <> è ancora tutt’oggi usato. Per quando riguarda i modelli prodotti, secondo recenti studi condotti da Francesco De Feo, massimo esperto di coltelli tradizionali italiani, il coltello cosiddetto AQUILANO è il più tipico dell’antica produzione frosolonese come documentano i punzoni su alcuni esemplari ritrovati (altre fonti chiamano aquilano un coltello a molla semplice tipico di Loreto Aprutino, imitato sia a Frosolone che a Scarperia dove è noto col nome di gobbo abruzzese). Si tratta di un coltello a serramanico di dimensioni piuttosto grandi, a molla fissa con più scrocchi col manico dritto o poco curvo ricavato da una punta di corno di bufalo o vaccino, di sezione piuttosto grossa e tondeggiante terminante con un becchetto calzato di ottone, lavorato con motivi romboidali e decorato con bande trasversali di ottone, con cuori, losanghe e scudetti dello stesso materiale o di alpacca incassati nel corno o anche con cerchietti di osso sul tipo degli occhi di dado dei coltelli d’amore. Le lame con bisellature appena accennate hanno punta sottile e si espandono leggermente al petto con poco sperone iniziale, hanno anche a volte un falso filo. Possono essere decorate da incisioni anche all’acquaforte. Un simile coltello non poteva non incorrere nei rigori della legge del 6 luglio 1871 che puniva non soltanto il porto dei coltelli a molla fissa, ma anche la loro detenzione, vendita ed esposizione. Così gli artigiani frosolonesi furono costretti ad una nuova riconversione produttiva anche se alcune famiglie frosolonesi produssero sempre secondo il De Feo il coltello Aquilano fino ai primi anni del Novecento come testimoniano alcuni esemplari che hanno la punta della lama sagomata a dischetto per salvaguardare il fabbricante dai rigori della legge. I modelli che escono dalle botteghe frosolonesi dopo la legge del 1871 noti col nome di SFILATO e ZUAVA e ancora attualmente fabbricati, sono assolutamente diversi da quelli precedenti e non hanno più nulla a che vedere con la tradizione italiana ma hanno caratteristiche proprie dei coltelli francesi o inglesi da cui derivano.
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Re: I Coltellinai del Molise

Messaggio da Sw4n »

Bellissimo post, sono stato a Frosolone qualche settimana fa e ho avuto il piacere di conoscere di persona Mastro Piscitelli, dal quale ho comprato uno splendido Gobbo Abruzzese (che ho cercato invano in Abruzzo), e una piccola mozzetta adattata a tagliasigari.

E' davvero un posto particolare, un paese minuscolo ma con botteghe di coltellinai in ogni dove. ;)

Il gobbo è possibile vederlo qui.
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Re: I Coltellinai del Molise

Messaggio da Aldebaran »

Vorrei ringraziare l'artigiano Coltellinaio Rocco Petrunti per le informazioni elargitemi in merito alle lame e rasoi forgiati a Frosolone dal coltellinaio Mastropietro.
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